374 pagine, per il primo romanzo di Natasha Pulley edito dalla Bompiani.
Il tema potrebbe sembrare un po’ scontato, l’opposizione tra oriente e occidente, i venti di guerra e ribellione tipici dell’occidente, la vita di tutti i giorni e i suoi eventi fantastici; dei meccanismi meccanici che rasentano la perfezione più riguardanti quell’incanto che un po ‘ sempre si accompagna all’oriente. Invece no, la storia è avvincente, intricata il giusto per mettere pepe alla narrazione. Ci sono imprevisti e luci e ombre per poi sfociare in un rocambolesco finale molto moderno che si allontana dalla riga di romanzi di questo genere. Un meraviglioso mix, il personaggio di Keita Mori, splendido burattinaio ma al tempo stesso umile e il suo polpo meccanico adorabile con la sua mania di rubare i calzini; il timido Thaniel, con la sua candida onestà, la progressista Grace, nata in un epoca che le sta stretta e tutti i personaggi secondari ma sempre ben delineati non dei figuranti ma delle figure che infittiscono la trama di dettagli e particolari a volte portandoti fuori strada; a volte ricostruendo l’immagine che la scrittice vuole dare. La Pulley è Inglese ma ha passato una parte della sua vita in Giappone grazie ad una borsa di studio,viaggio che le deve essere rimasto molto nel cuore, si evince dalla delicatezza con cui parla di tutto ciò che il mondo orientale contiene, nel suo essere classico e immutabile, imperturbabile e magico.
“Povera pedante mia. La tua scienza può salvare una vita, ma è l’immaginazione a far sì che valga la pena di essere vissuta.”
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