LIBRI MAMME

Eppure cadiamo felici. Non aver paura di ascoltare il rumore della felicità

Enrico Galiano è un  insegnante che spopola sul web, piace ai ragazzi e la sua filosofia è: “Non ti ascoltano, se tu per primo non li ascolti”. Da tanta saggezza, il suo primo romanzo edito da Garzanti, per un totale di 369 pagine. Eppure cadiamo felici (non aver paura di ascoltare il rumore della felicità).

Il romanzo parte in sordina, a volte è un po’ “faticoso”, come delle tessere di puzzle che non si incastrano a dovere; ma andando avanti la storia prende forma e ci sono a tratti delle parti veramente gradevoli e di pregio.

Gioia, la protagonista, ha la passione di cercare parole particolari in tutte le lingue del mondo, parole che hanno come significato un’intera frase, qualcosa che arriva all’anima. Questa sua peculiarità fa da filo conduttore nella narrazione, dandole una freschezza speciale, poiché nel buio apparente della sua vita, la protagonista trova in queste parole conforto e speranza che le danno sempre la forza di reagire, di trovare una via per crescere, per sopravvivere, per vincere.

Così Galiano scrive: “Gioia si sente sola in tutto il casino che la circonda, perché essere soli a diciassette anni non è come essere soli a trenta, o quaranta, o settanta, è comunque uno schifo ma è uno schifo diverso, esser soli quando si è più grandi vuol dire esserlo contro il mondo, e okay è brutto ma almeno lì sai chi è il nemico, lui di là tu di qua, mentre essere soli a diciassette anni vuol dire non capire bene mai da che parte sta, il nemico, perché il nemico è il mondo, gli altri, mamma, papà, Giulia Batta, Casali, la sfiga, i prof e tutto il resto: ma a diciassette anni, prima di tutto e tutti, il nemico sei tu”.

9788811672319_0_0_1502_80In questo passaggio trovo ci siano una grande verità e una grande bugia, capisco il disagio dei diciassette anni e lo condivido pienamente, ma purtroppo non è vero che da adulti il nemico sia sempre il mondo, spesso il più grande nemico siamo noi stessi.

Ma ecco che la narrazione sul finire del libro fa uscire Gioia dal suo malessere come un fiore in primavera dopo un percorso di vita e dice:

”Gioia sa poche cose di cui è sicura, forse due o tre, ma una di queste è che non c’è cosa peggiore del diventare grandi e tradire il bambino che eravamo stati”.

Questo, ritengo, sia la summa del libro, una frase bellissima e profonda su cui ognuno di noi dovrebbe riflettere a lungo: “non tradire il bambino che siamo stati”, insieme a tutte le parole che Gioia trova sul suo cammino, una più bella dell’altra, significati che danno un senso alla vita oltre che alle parole che ormai si usano così poco, così male, ancora di più nelle giovani generazioni, che hanno un vocabolario molto ridotto e forse proprio qui voleva arrivare il Galiano; scrivere in modo semplice e poi incuriosire gli animi andando sempre un po’ più in là portando il lettore oltre la trama.

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